SOLITUDINE: un titolo per imparare ad accoglierla
- glisnappingbooks
- 3 nov 2022
- Tempo di lettura: 3 min
"Una specie di solitudine", di John Cheever.

📖 Quella della pandemia e dei suoi strascichi. Quella di un Occidente che zoppica, in cerca di una nuova identità. Quella di un pianeta senza più regole che lancia appelli per salvarlo e salvarci, di fronte ai quali l’unica certezza è il nostro ritardo. Non c’è solo un conflitto fuori dalla porta di casa a farci sentire soli e a temere di esserlo.
Un libro per riconoscere quella buona: "Una specie di solitudine", di John Cheever (Feltrinelli).
Genere. Diario intimo. Pensato per essere un romanzo, diventa invece l’autoconfessione, destinata a durare oltre trent’anni, di un maestro della short story. Un racconto senza veli, catalogo ragionato e irrazionale dei tanti modi dell’essere soli.
L’incipit. “Nella mezza età c’è mistero, c’è mistificazione. Il massimo che riesca a cogliere di questo periodo è una specie di solitudine. Persino la bellezza del mondo visibile sembra sbriciolarsi, sì persino l’amore. Sento che c’è stato come un aborto, una svolta sbagliata, ma non so quando sia accaduto né ho speranza di scoprirlo”.
Tre ragioni per amarlo. Forse ne basta una sola. L’intimità che sa creare una scrittura fonte di poesia.
Il Cechov dei sobborghi. L’hanno chiamato anche così, Cheever. Contributor del New Yorker, curatore di sette raccolte di racconti e cinque romanzi, vincitore di un Pulitzer e di un National Book Award, il successo non ha potuto salvarlo dalla vocazione ad autodistruggersi e dall’alcol. Per lui “il bisogno di scrivere veniva da quello di dare un senso alla propria vita e di sentirsi utile”, si legge nella biografia Home before dark. L’autrice, la figlia Susan, ne racconta tic e rituali. Come lo spogliarsi prima di cominciare, quasi avesse esigenza di mettersi a nudo. Ogni volta che doveva affrontare una nuova pagina succedeva lo stesso. Si vestiva di tutto punto e mentre era in ascensore per scendere in cantina, si levava i vestiti fino a restare in mutande: era per paura di perdere l’ispirazione, diceva, e non se lo poteva permettere.
Modalità di lettura. Nell’intimità di un giorno di pioggia. In cuffia: Nick Drake, Pink Moon.
Segnalibro. A pagina 27. “Ieri sera, mentre piegavo l’asciugamano in modo che il monogramma cadesse nel punto giusto (e dopo aver letto un pezzo di Zabel su Rimbaud), mi sono chiesto che stavo facendo. Questa preoccupazione per l’ordine esteriore – i fiori, il portasigarette scintillante – non solo è sintomatica della nostra consapevolezza dei disordini sociali feroci che ci circondano, ma ci permette anche di posticipare il momento in cui dovremo affrontarli davvero, ci permette di passare sopra al fatto che il nostro pane è avvelenato”.
Colpo di fulmine. A pagina 53. “Credo di poter arrivare alla conclusione che la vita, così come ci passa davanti agli occhi, sia una forza creativa – che le cose vengano messe una sopra l’altra con un senso – che ciò che perdiamo in uno scambio sia più che ricompensato da quello successivo, che siamo soltanto noi, soltanto i nostri pietosi fraintendimenti a creare le condizioni per la disonestà, le tenebre e la rabbia”.
Che cosa leggere dopo. Dello stesso autore, Il nuotatore, uno dei racconti brevi più noti di Cheever (oltre al film omonimo di Franck Perry, ha ispirato il dipinto di David Hockney Portrait of an Artist - Pool with Two Figures). Lo sfondo: la piscina dei Westerhazy, famiglia della ricca borghesia americana. Uno degli ospiti, Ned, ha un’idea folle: attraversare a nuoto la catena di piscine che dalla casa dei Westerhazy conduce alla sua. Quindici private e una pubblica. Un viaggio verso casa che diventa metafora dell’ingovernabilità del tempo e della vita.
Sullo scaffale. Accanto a Undici solitudini, di Richard Yates (Minimum Fax). Secondo il New York Times l’equivalente newyorkese di Gente di Dublino di Joyce, una raccolta di racconti sulla disillusione del sogno americano anni Sessanta.
Bookcrossing. Per una volta, niente scambi. Per Marta di Gogol & Company, impossibile cedere Una specie di solitudine. «E’ da dieci anni che non lo sposto dal comodino, per tutte le volte in cui ho bisogno di ascoltarmi, da sola, in tutte le mie variazioni. Così scorretto, fragile, lo continuo a cercare perché è un libro autentico, poetico, zeppo di desiderio. Lo apro a caso e ogni apertura mi sorprende con una risposta che incredibilmente assomiglia a me».
✍️ Chiara Zunino
📸 foto: Peter Zelei
I titoli di questa settimana sono stati scelti e commentati da Marta Santomauro, libreria Gogol & Company, via Savona 101, Milano.
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